martedì 10 novembre 2009

Arthur Schopenhauer


Componi un testo libero, assumendo come spunto per le tue riflessioni il seguente brano di Artur Schopenhauer:


1. «Gli uomini somigliano a orologi, che vengono caricati e camminano, senza sapere il perché; ed ogni volta, che un uomo viene generato e partorito, è l'orologio della vita umana di nuovo caricato, per ancora una volta ripetere, frase per frase, battuta per battuta, con variazioni insignificanti, la stessa musica già infinite volte suonata. Ciascun individuo, cia­scun volto umano e ciascuna vita non è che un nuovo breve sogno dell'infinito spirito natura­le, della permanente volontà di vivere; non è che una nuova immagine fuggitiva, che la volontà traccia per gioco sul foglio infinito dello spazio e del tempo, lasciandola durare un attimo appena percettibile di fronte all'immensità di quelli, e poi cancellandola, per dar luogo ad altre. Nondimeno, e in ciò è l'aspetto grave della vita, ognuna di tali immagini fugaci, ognuno di tali insipidi capricci dev'essere pagato dalla intera volontà di vivere, in tutta la sua violenza, con molti e profondi dolori, e in ultimo con un'amara morte, a lungo temuta, final­mente venuta. Per questo ci fa così subitamente malinconici la vista d'un cadavere.
La vita d'ogni singolo, se la si guarda nel suo complesso, rilevandone solo i tratti signifi­canti, è sempre invero una tragedia; ma, esaminata nei particolari, ha il carattere della com­media. Imperocché l'agitazione e il tormento della giornata, l'incessante ironia dell'attimo, il volere e il temere della settimana, gli accidenti sgradevoli d'ogni ora, per virtù del caso ognora intento a brutti tiri, sono vere scene di commedia. Ma i desideri sempre inappagati, il vano aspirare, le speranze calpestate senza pietà dal destino, i funesti errori di tutta la vita, con accrescimento di dolore e con morte alla fine, costituiscono ognora una tragedia. Così, quasi il destino avesse voluto aggiungere lo scherno al travaglio della nostra esistenza, deve la vita nostra contenere tutti i mali della tragedia, mentre noi non riusciamo neppure a conservar la gravità di personaggi tragici, e siamo invece inevitabilmente, nei molti casi particolari della vita, goffi tipi da commedia.”

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Bari, Laterza, 1991, vol. II, pp. 424-425).



2. “Se finalmente a ciascuno si volessero porre sott'occhio gli orrendi dolori e strazi, a cui è la sua vita perennemente esposta, lo coglierebbe raccapriccio: e se si conducesse il più ostinato ottimista attraverso gli ospedali, i lazzaretti, le camere di martirio chirurgiche, attraverso le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli schiavi, pei campi di battaglia e i tribunali, aprendogli poi tutti i sinistri covi della miseria, ove ci si appiat­ta per nascondersi agli sguardi della fredda curiosità, e da ultimo facendogli ficcar l'occhio nella torre della fame di Ugolino, certamente finirebbe anch'egli con l'intendere di qual sorte sia questo meilleur des mondes possibles. Donde ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo nostro mondo reale? E nondimeno n'è venuto un inferno bell'e buono. Quando invece gli toccò di descrivere il cielo e le sue gioie, si trovò davanti a una difficoltà insuperabi­le: appunto perché il nostro mondo non offre materiale per un'impresa siffatta. Perciò non gli rimase se non trasmetterci, in luogo delle gioie paradisiache, gli ammaestramenti, che a lui furono colà impartiti dal suo antenato, dalla sua Beatrice, e da differenti santi. Da ciò appari­sce abbastanza chiaro, di qual natura sia questo mondo”.


A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cit., vol. II, p. 428.

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