martedì 17 novembre 2009

Valentina Fissore

Arthur Schopenhauer è stato uno dei primi filosofi della storia ad "aprire gli occhi" sulla reale condizione umana: non siamo unicamente ragione, ma possediamo un corpo soggetto a desideri ed impulsi.
E sono proprio questi desideri a spingerci a continuare a vivere: si desidera perché si vuole colmare una mancanza, mancanza che quasi sempre si traduce con la presenza di dolore.
Dunque la vita dell'uomo è un continuo malessere, incurabile, che nessun piacere potrà mai alleviare.
Se non vi è felicità o gioia di vivere allora perché siamo al mondo? Shopenhauer risponde che la vita è un fatto quasi esclusivamente biologico: si nasce, ci si riproduce e infine si muore, al pari di tutti gli altri uomini, di tutte le epoche, etnie e paesi differenti.
Le scelte che facciamo, le azioni che compiamo, niente di tutto ciò ha una reale influenza sulla nostra esistenza in quando è medesima a quella di altri uomini che hanno percorso, solo in apparenza, strade differenti dalle nostre nel corso della loro vita.
Siamo paragonati dunque a "orologi caricati che camminano senza sapere il perché" o a "la stessa musica già infinite volte suonata" ad indicare che l'uomo è in fondo inconsapevole dello scopo ultimo della sua esistenza e che quest'ultima non è una novità o un qualcosa di speciale, bensì la stessa routine che si ripete da sempre. Ma allora se nulla ha un senso e la nostra vita ha come unica utilità quella di portare avanti la specie, come fare a non cadere nel pessimismo?
A mio parere, avere consapevolezza di come in fondo funzioni la nostra esistenza, non ci può e non ci deve privare della volontà e della possibilità di essere felici. Si devono riconoscere i propri limiti e comprendere che la ragione molto spesso è sottoposta all'istinto e che non bisogna teorizzare all'estremo il modo nel quale operi la ragione senza tenere presente la vita reale. Studiare nel minimo dettaglio le regole di un gioco non ci garantisce una vincita sicura.
Accettate le condizioni che ci impongono la natura e la biologia, non ci si può di certo lasciare in balia del caso pensando che comunque sia la vita non abbia alcuno scopo. La nostra esistenza ha un fine, ma forse, alle volte, non coincide con quello che ci saremmo proposti per noi stessi.
Nella mia opinione vivere significa porsi degli obbiettivi e cercare di raggiungerli nel limite del rispetto e del buon senso. Chi ha percorso la propria strada in modo, per quanto possibile, onesto e senza approfittarsi degli altri, per me, ha già raggiunto lo scopo della sua esistenza.
Non escludo la presenza della sofferenza nella vita; la nostra esistenza è caratterizzata da una continua alternanza di dolore e di piacere (che, per quanto esso sia fugace, è presente). Ma se l'uomo vivesse in uno stato di continua felicità cadrebbe nella noia, poiché le emozioni provate sarebbero sempre le medesime. E dolore spinge l'uomo a cercare di scacciarlo per raggiungere la felicità.
In conclusione, posso affermare che le teorie di Shopenhauer non ci devono spingere al pessimismo e al vivere infelici ma,accettate tali condizioni, bisogna sforzarsi di migliorare la propria qualità di vita; per esempio condivido il fatto che l'amore tra due persone sia, in gran parte, frutto di una spinta biologica. Ma, compresa la situazione, perché non dedicare una parte di noi ad un rapporto che possa renderci un po' più felici, o che forse solamente ci distrae dal pensare a quanto sia in fondo triste l'esistenza umana?

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