martedì 17 novembre 2009

Paolo D'aiuto

Se analizziamo l'ottica di Schopenhauer è ragionevole pensare che la nostra vita sia davvero una tragedia, ossia che non abbia un senso predefinito. Nel momento in cui veniamo al mondo, e dunque veniamo a fare parte dello spazio-tempo, noi siamo, fin dai primi istanti, agiti dagli impulsi della volontà di vita che ci impone di comportarci in un certo modo e di conformarci alla varie situazioni attraverso reazioni che non sono governate dalla nostra soggettività, bensì dalla nostra genetica.
Da ciò, dunque, deriva la nostra sofferenza, nonché dalla consapevolezza del fatto che, se veniamo al mondo come degli orologi già programmati in tutto e per tutto, non siamo noi ad essere i veri artefici di tutto ciò che facciamo e scegliamo. A questo punto la domanda che mi sorge spontanea è la seguente: esiste o meno la libertà, ossia la facoltà del libero arbitrio?, tema su cui si sono innestate profonde meditazioni e su cui è intervenuta una miriade di pensatori. Secondo il pensiero di Schopenhauer, la risposta è un "no" deciso: infatti se nel momento in cui entriamo nel mondo, si manifesta fin da subito la volontà di vita, allora qualunque nostra azione è guidata da questa forza intrinseca a noi, al cui controllo sembrerebbe impossibile sfuggire.
Tuttavia, la mia prospettiva si discosta non poco dall'idea di Schopenhauer: mi risulta, infatti, piuttosto difficile credere che io, in qualità di persona, sia del tutto ( o per lo meno quasi) subordinato a questa forza connaturata. Con ciò non intendo negare la mia vita come corpo, poiché essendo esponente della specie umana, anche io sono agito da impulsi e da istinti con cui debbo farei conti, bensì intendo sottolineare la superiorità della soggettività rispetto alla volontà di vita. SE per Schopenhauer le due vite sono strettamente collegate, in quanto una guida l'altra ( la specie guida le nostre azioni per appagare, anche se solo provvisoriamente, i nostri desideri scaturiti dagli impulsi), lo le intendo separate. Sono inoltre convinto del fatto che la soggettività risulti essere più forte della volontà di vita, arrivando addirittura, in certi casi, a sopraffarla. Pertanto, la nostra vita ce l'ha sì un senso già prestabilito, che solo a ciascuno di noi è dato conoscere: non siamo, infatti, dei burattini che salgono sul palcoscenico per recitare la propria parte, pilotati da quel burattinaio che si identifica con la volontà di vita, o la specie, o la genetica, o comunque la si voglia chiamare. In realtà, siamo si dei burattini che salgono sul palcoscenico, ma i fili che dirigono i nostri gesti e le nostre azioni siamo noi, in quanto soggettività o anima, a gestirli e controllarli. Dunque il vero senso della nostra vita sta proprio nel cercare un senso, che possiamo trovare solamente salendo su quel palcoscenico, scavando nella nostra soggettività ed edificare quella parte del nostro destino che non è scritta da nessuna parte. Pertanto, parlando da cristiano credente, la vita vera non è quella chimico-biologica, ma quella spirituale che accoglie e tollera la prima, ma si trova nella condizione di poterla sopraffare in qualunque momento, anche quando per la ragione potrebbe sembrare impossibile. A questo punto la vita circoscritta nello spazio e nel tempo non è che una prova, durante la quale ognuno dì noi è tenuto ad esercitare la propria soggettività nel dominio dell'istinto e dell'impulso, in vista di quel qualcos' altro che io chiamo aldilà e Dio. L'uomo infatti se fosse puro corpo, sarebbe un essere vivente del tutto atipico, abulico, incapace di provare qualunque sentimento; ma fortunatamente, Dio ci ha donato un'anima che risiede nel cuore, non inteso come un muscolo dal punto di vista biologico, bensì come quello che Pascal definiva "Esprit de finesse", o cuore che riesce ad attingere verità trascendenti. E' dunque l'anima il soffio vitale che gli stoici chiamavano "pneuma" ( fuoco o soffio caldo) che anima il corpo e gli consente di provare emozioni così forti che la chimica e la biologia, essendo scienze razionali, non sarebbero mai in grado di sperimentare. E', tuttavia, anche vero che talvolta l'istinto alla vita soverchia l'anima, costringendoci il più delle volte ad agire impulsivamente in modi di cui ci pentiamo in un secondo momento; nonostante ciò, rimango convinto del fatto che la vera esistenza sia l'anima,che è Dio stesso che ci dà la vita attraverso la sua eterna misericordia e ci colma il cuore di gioia e serenità, vincendo l'impulso della specie che può essere considerato il terreno entro il quale sosteniamo l'esame per conseguire la vita eterna.
Per quanto riguarda, invece, la questione della sofferenza su questo mondo, trovo del tutto inutile cercarne le cause attraverso artificiose e complesse meditazioni filosofiche: la soluzione a tale problema è davanti ai nostri occhi: la causa di tanta sofferenza in questo mondo non è che l'uomo stesso. Nel corso della storia possiamo rintracciare numerosi esempi di uomini che pur di raggiungere il successo personale hanno disagiato molte altre persone ( adulti, anziani, bambini: uomini e donne indistintamente), senza curarsi alcunché delle sofferenze prodotte. Tuttavia la sofferenza non è quella che si sente a causa del mancato appagamento di un desiderio o volontà, o quella fisica che è per lo più passeggera: la vera sofferenza è quella che attanaglia lo spirito e lo stringe in una morsa, senza lasciargli un momento di sospiro.La sofferenza vera è quella che può derivare dalla perdita di una persona molto cara, che crea un vuoto incolmabile, che in molti casi nemmeno il tempo riesce a risanare; è una sofferenza che alla specie non è dato conoscere, in quanto essa tocca la dimensione del cuore. In definitiva, a tale riguardo, solo confidando nella misericordia divina è possibile allentare quella morsa stringente e trovare la così la tanto sospirata pace spirituale.

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